Bologna, 5 ottobre 2020
Contenzioso riferito ai lavoratori esposti al rischio amianto
Qualche riflessione e informazione rispetto il contenzioso previdenziale amministrativo-legale per chi è stato esposto al rischio amianto.
Quando esce una norma di legge, una disposizione applicativa, una sentenza, viene spontaneo fare un breve riepilogo di quanto è avvenuto fino a quel momento. Questo ci permette di evidenziare la complessità del percorso che si è fatto e che si deve fare per ottenere l’applicazione di una norma, rispetto le condizioni delle realtà singole e collettive.
Questo riepilogo ci viene spontaneo farlo, in quanto emblematico, riportando quello che è successo ad un lavoratore (ora pensionato) sicuramente esposto al rischio amianto, in sintesi:
- a fine del 2019 (°) è stata emessa la sentenza n° 382 del Tribunale di Bologna (non appellata) con cui viene riconosciuto il diritto di ottenere la maggiorazione contributiva (periodo 1980-1992) ai sensi della legge 257/1992 art. 13 comma 7. L’INPS ha calcolato la pensione con un beneficio economico per l’ex lavoratore
- nel 2005 per un gruppo di lavoratori esposti all’amianto, nella stessa azienda, tra i quali il caso qui in esame, si attiva una causa legale per ottenere il riconoscimento ai sensi della legge 257/1992 art. 13 comma 8. La prima sentenza viene emessa nel 2008 con il riconoscimento dell’esposizione qualificata per più di dieci anni (dal 1980 al 1992 (*). L’avvocatura INPS propone appello, ma anche la Corte di Appello di Bologna nel 2012 deposita la sentenza che riconosce il diritto dei ricorrenti a vedersi calcolare la maggiorazione contributiva amianto. Le eccezioni fatte dall’INPS sono state diverse e per brevità qui non vengono riprese, anche se ovviamente hanno prolungato i tempi del processo per alcuni anni. Nel frattempo la giurisprudenza della Cassazione apporta alcune modifiche interpretative che sono subito prese a riferimento perché l’INPS presenti ricorso alla Corte di Cassazione. La Corte emette sentenza nel 2015 e accoglie le ragioni dell’INPS, rendendo nullo tutto quello che fino a quel momento si era fatto e ottenuto.
L’oggetto del contendere di fatto si riferiva ai termini per presentare ricorso legale dal momento che si era presentata la domanda amministrativa; la Cassazione pronuncia la inammissibilità del ricorso per intervenuta decadenza, non condanna alle spese rispetto al contributo unificato (introdotto dalla legge con dec. 30 gennaio 2013 in quanto il ricorso era stato iniziato prima di tale data) e compensa le spese legali. - Si ritiene che sia penalizzante la norma che non salvaguardia chi ha iniziato il percorso legale, quando non esisteva il problema della decadenza (di fatto diversi ricorso, conclusosi in tempi molto più brevi, non hanno avuto questo problema – di fatto parliamo di ricorsi legali conclusi entro il 2011). Viene presentato ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) nei termini previsti e cioè entro 6 mesi dalla pronuncia della Cassazione e siamo ancora in attesa dell’esito
- nel 2016 l’interessato presenta una denuncia di malattia professionale legata all’esposizione all’amianto e, anche se non ottiene una rendita mensile (ottiene il 5%); questo permette in ogni caso di chiedere all’INAIL il rilascio di un certificato di esposizione ai sensi della legge 257/1992 art. 13 c. 7 e la dichiarazione certifica un’esposizione dal 1980 al 1992 (*). Con tale certificato presentiamo all’INPS la richiesta di ricalcolo della pensione (pensione che in precedenza aveva ottenuto versando contributi volontari e utilizzando alcuni anni di lavoro svolto all’Estero).
Sorpresa delle sorprese l’INPS nega il ricalcolo ritenendo che la sentenza del 2015 avesse chiuso ogni possibilità.
A febbraio 2019 si presenta nuovo ricorso legale che ha avuto esito positivo e definitivo (°). L’INPS ha finalmente considerato sulla pensione la maggiorazione contributiva con relativo beneficio economico.
Porto alla attenzione dei lettori tre fattori principali di questa vicenda:
• quando una stessa norma di legge prevede un beneficio, con caratteristiche diverse, regolate da commi diversi, abbiamo sostenuto e dobbiamo continuare a sostenere che sono due situazioni da tenere distinte su cui si può fare contenzioso:
a) la legge 257/1992 art. 13 c. 8 prevede che il lavoratore esposto ad un rischio amianto per almeno dieci anni e in modo qualificato, norma modificata con la legge 326/2003 che introduce un termine tombale e precisamente il 15.6.2005);
b) la legge 257/1992 art. 13 c. 7 non viene modificata e rimane in vigore oltre il 15.6.2005, si riferisce a quei lavoratori che contraggono una malattia professionale legata ad esposizione amianto, non esiste alcun termine e non viene previsto che ci sia stata un’esposizione qualificata per più di dieci anni
• faccio notare che il caso in esame ha ottenuto lo stesso periodo di esposizione che era già stato riconosciuto in causa (anzi abbiamo casi che con la malattia professionale ottengono un periodo superiore di esposizione – questo perché non c’è la necessità di dimostrare l’esposizione qualificata). Se l’INAIL, Ente individuato come certificatore a nome e per conto dell’INPS, avesse fin dall’inizio considerato diversamente e più approfonditamente il caso, i tempi e il diritto dell’interessato avrebbe avuto soddisfazione molto prima
• la testardaggine, la determinazione dell’interessato che ha resistito alle avversità (ogni volta che si superava un ostacolo se ne frapponeva un altro), il tutto accompagnato dall’indispensabile determinazione del patronato e dell’avvocato di parte, sono stati decisivi nel raggiungere questo risultato (anche se dopo diversi anni)
Milena Pareschi – Tutela Diritti AFeVA Emilia Romagna
Il contributo di Giorgio Sacco – Avvocato
Ci sono diversi scritti sulla legge 257/1992 (in internet trovate diversi contributi), in questa occasione si conclude questo scritto con alcune considerazioni dell’avvocato Giorgio Sacco di Bologna che ci ha accompagnato in tutti questi anni:
Non voglio fare considerazioni giuridiche bensì sul comportamento tenuto dagli enti previdenziali nel presente caso e, più in generale, nel contenzioso benefici pensionistici amianto che ha trovato una sponda in certa giurisprudenza specialmente quella di legittimità ed in una produzione legislativa che nei fatti ha disseminato il terreno per giungere ad ottenere il beneficio (meglio sarebbe dire il giusto riconoscimento) di ostacoli e trabocchetti. .
Detto comportamento è stato connotato dalla ferrea volontà di rendere e comunque limitare i diritti di quei lavoratori che per buona parte della loro vita lavorativa sono stati esposti al rischio amianto ed alle sue nefaste conseguenze che tutti conosciamo.
Al fine di abbassare la spesa pensionistica – ma è giusto ridurre una spesa quando con ciò si comprimono i diritti di una vasta categoria di lavoratori che ha rischiato, ed in molti, troppi casi, perso la salute? – si è ridotta la durata del periodo di prescrizione; si è inventata una decadenza che prima non esisteva eliminando così un diritto, quello a pensione, che la Corte Costituzionale ha definito imprescrittibile, indisponibile e non sottoponibile a decadenza, inventandosi che la maggiorazione amianto costituisce un elemento autonomo rispetto alla pensione; si è pretesa la prova di una esposizione qualificata continuativa per otto ore al giorno per tutti i giorni lavorativi, difficilissima da dare se non presuntivamente sulla base delle ricostruzione di situazioni lavorative non più esistenti da anni; si è contestata la modalità di misurazione della presenza di fibre di amianto nell’aria, rivista e corretta utilizzando la microscopia più recente ed esatta, alla luce della quale risultava una presenza di maggiore quantità di fibre rispetto a quella risultante dal conteggio con i sistemi microscopici più antiquati.
Insomma chi ha seguito queste cause; Patronato ed avvocati, ha potuto indubbiamente rilevare un comportamento che è poco definirlo dilatorio e tendente a prolungare all’indefinito il raggiungimento del diritto da parte dei lavoratori.
E così è successo che molti nel frattempo acquisivano il diritto a pensione anche senza il beneficio amianto; mentre molti altri si vedevano respinti ricorsi accolti in primo grado o in appello perchè nel frattempo, nel corso degli anni era cambiata la normativa in materia di prescrizione del diritto e in materia di decadenza con la conseguenza che il lavoratore di cui si parla all’inizio dell’articolo (e come lui tanti altri), aveva vinto in primo e secondo grado e percepita la pensione per alcuni anni, utilizzandola per le esigenze di vita quotidiana, si vedeva notificare dall’INPS un provvedimento di recupero indebito per cifre da capogiro.
La cosa assurda è che questo stesso lavoratore, se fosse stato un dipendente pubblico, anzichè un dipendente di ditta privata, si sarebbe potuto tranquillamente godere la sua pensione in quanto nel processo alla Corte dei Conti, non si applicano le decadenze previste nel processo avanti al Giudice del Lavoro, con evidente disparità di trattamento segnalata nel ricorso alla Corte Europea.
Infine per tanti altri, per cui i ricorsi erano iniziati subito ed avevano proseguito senza intoppi, sottraendosi così alle successive tagliole, siamo riusciti ad avere sentenze di riconoscimento del diritto.
E’ stata una battaglia di un quarto di secolo che abbiamo portato avanti, nonostante tutto, sacrificando tempo ed energie in favore di coloro che, riteniamo, lo meritassero perchè hanno contribuito alla economia ed al progresso del Paese, anche a scapito della loro salute. Direi che possiamo esserne tutti fieri.
Avv.to Giorgio Sacco
Grazie per aver reso disponibile questo documento, dal quale si evince che solo con la Vs. competenza ed il Vs. convincimento ad ottenere un diritto, si può arrivare ad una vittoria, ma quanta fatica.., che odissea….
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